Dalla puntata del 10 aprile 2022 di Vita nei Campi, di Rai Radio 1 del Friuli Venezia Giulia, l'intervento di Cristina Micheloni. Qui puoi sentire l'intera puntata del programma.
Si può continuare a fare della zootecnia senza bruciarci il pianeta?
Nell’emergenza della situazione in cui si trovano gli allevatori nostrani è ragionevole pensare a misure di sostegno al reddito, di ricerca di materie prime per mangimi meno legate ai mercati e ai prezzi globali. Detto in altro modo: facciamo tutto quello che si può per scongiurare la chiusura di altre stalle friulane.
Però a nulla varrebbe salvarle oggi per chiuderle domani o per lasciarle aperte su un pianeta in fiamme.E’ più che mai il momento, dunque, per ragionare su una zootecnia diversa e il recentissimo report dell’IPES-Food (il panel internazionale di esperti indipendenti che da quasi 10 anni dà forma ai dibattiti più avanzati sulla scena dei sistemi agro-alimentari) ci offre non pochi utili spunti (consultabile qui: https://ipes-food.org/reports/). Il titolo è The policy of protein: Examining claims about livestock, fish, ‘alternative proteins’ & sustainability. Spunto 1 - non si può risolvere davvero il problema guardando ad un fattore alla volta: c’è la questione delle emissioni climalteranti, ma anche la perdita di fertilità dei suoli, il declino di biodiversità, la competizione sull’ acqua, il costo dell’energia, l’antbioticoresistenza e le patologie che ci arrivano dagli animali selvatici attraverso quelli allevati, i problemi di alimentazione di miliardi di persone ma anche la loro salute, guardando soprattutto alle popolazioni che stanno velocemente invecchiando. Tutto si traduce in costi. Non ha senso tentare di risolvere goffamente uno solo dei problemi, di solito il più urgente o quello che si percepisce come più urgente. O si cerca una via che faccia fronte a tutto ed abbia un orizzonte lungo o perdiamo tempo. Ora ci concentriamo sull’emergenza dettata dal costo del mais piuttosto che dell’energia… ma risolto quello prepariamoci alle successive crisi. Spunto 2 - i prodotti alimentari non possono costare troppo poco, perchè il conto lo salda qualcuno o qualcosa d’altro… gli agricoltori sottopagati, l’ambiente, il benessere animale, il clima… Dove invece si può fare economia è nella scelta e combinazione degli alimenti. Esempio: se aumento la percentuale di vegetali nella dieta posso permettermi di mangiare anche della carne di buona qualità e prezzo più elevato. Se compero la verdura di stagione, bio e del paese accanto al mio tutto il valore rimane nella comunità e non si sperpera in packaging, frigoriferi e camion. Spunto 3 - a livello globale la produzione zootecnica deve diminuire, non c’è storia. Ma non significa che debba sparire, anzi. Come fa a diventare più “leggera” sul pianeta? Più foraggere… pascoli ma non solo. Ritornando alla nostra regione, più che i 5000 ha di aree di interesse ecologico rimesse a coltura, forse dovremmo mettere a valore le decine di migliaia di ettari caduti in abbandono nell’ area collinare, pedemontana e montana, dove le foraggere darebbero buone soddisfazioni senza chiedere granchè in termini di concimi, acqua ed energia. Spunto 4 - usiamo tutta la conoscenza disponibile e soprattutto intrecciamo i saperi. Benvengano anche gli strumenti digitali ma, appunto, sono strumenti e senza una visione ed una conoscenza ampia sono di poco aiuto.
Dalla puntata del 2 gennaio 2022 di Vita nei Campi, di Rai Radio 1 del Friuli Venezia Giulia, l'intervento di Cristina Micheloni. Qui puoi sentire l'intera puntata del programma.
Dopo lunghi dibattiti e una sospensione dovuta al COVID, ieri è entrato in vigore il nuovo regolamento europeo sull’agricoltura biologica. Esso sostituisce completamente quello precedente. Tanto per avere dei punti di riferimento: il vecchio regolamento era l’834 del 2007, quello nuovo è il numero 848 del 2018.
Si tratta di aggiornamenti più formali che sostanziali, ma questa migrazione al nuovo quadro era necessaria per permetterne le successive evoluzioni ed aggiornamenti… almeno speriamo che sia così, perchè un settore dinamico come quello biologico è da un po’ che morde il freno e chiede ai legislatori di tenere il passo, assolutamente non nel senso di allargare le maglie ma di considerare le conoscenze che diventano disponibili e, soprattutto, armonizzare le regole del bio con tutte le altre che comunque un agricoltore deve rispettare, come quelle sui prodotti per la difesa, o per i fertilizzanti o per la salute degli animali che alleva.
Detto ciò, alcune novità importanti comunque ci sono:
- la certificazione di gruppo è ora possibile anche per i piccoli agricoltori europei e non solo per i produttori di caffè, te, cacao del Sud del mondo. Le norme applicative sono piuttosto inadatte al momento, nel senso che restringono la possibilità a microaziende e richiedono comunque un sistema interno complesso, però su questo ci si può lavorare ed adattarlo alla nostra realtà montana, ad esempio, oppure ai terreni gestiti da chi agricoltore non è;
- ancor più interessante la possibilità di utilizzare, registrare e commercializzare sementi di materiale eterogeneo. E’ un cambio radicale imposto alla normativa sementiera che offre la possibilità a singoli agricoltori o a gruppi di essi di moltiplicare e selezionare la propria semente di qualunque vegetale, ma le esperienze principali a oggi sono sui cereali come frumento e orzo, sui fagioli e su alcune orticole come il pomodoro, il radicchio e le crucifere, e registrarle nella loro eterogeneità. Insomma si esce dall’ideotipo della “varietà” «distinta» da quelle già figuranti nell’elenco europeo, «omogena» e «stabile» (i cosiddetti criteri DUS, dall’inglese distinctness, uniformity, stability) che erano alla base della registrazione europea. Le varietà tradizionali e le popolazioni locali, infatti, non sono mai omogenee, ma mantengono una parte di eterogeneità per potersi evolvere al cambiamento delle condizioni di coltivazione e climatiche. Questo è un tratto che nel biologico è fondamentale ma anche nell’agricoltura convenzionale potrebbe essere di grande aiuto;
- la possibilità di indicare la provenienza della materia prima nei prodotti trasformati anche a livello di Regione. Quindi, tanto per fare un esempio, se una focaccia contiene almeno il 95% di ingredienti biologici coltivati/allevati in FVG, accanto al logo europeo del bio si potrà riportare la dicitura “agricoltura Friuli Venezia Giulia”. Al momento è l’unica etichettatura davvero verificata sulla provenienza delle materie prime… con buona pace dei sostenitori del km 0 dell’ultimo miglio, ovvero di quelli che si accontentano che la preparazione della focaccia dell’esempio di prima avvenga in regione, ma non si chiedono da dove provenga la farina, il burro e pure lo zucchero.